Discussione parlamentare – Violenza di genere

In merito ai seguenti atti parlamentari,

– Mozione 25 giugno 2019 presentata da Angelica Lepori Sergi e cofirmatari per MPS-POP-Indipendenti “Affrontare con decisione la violenza contro le donne”
– Messaggio del 19 febbraio 2020 n. 7793

– Mozione 12 marzo 2018 presentata da Massimiliano Ay “#HeForShe – Contro la violenza sulle donne, lavorare con gli uomini”
– Messaggio del 19 febbraio 2020 n. 7794

– Mozione 18 maggio 2020 presentata da Angelica Lepori Sergi e cofirmatari per MPS-POP-Indipendenti “Realizzare, finalmente, una politica seria e coordinata per combattere e prevenire la violenza di genere”
– Messaggio del 14 ottobre 2020 n. 7913
– Rapporto del 27 maggio 2021 n.7793R/77794R/7913R, relatrice: Gina La Mantia ecco il mio intervento in Gran Consiglio nella sessione iniziata lunedì 21 giugno.

Gli attori sociali che contribuiscono a sviluppare credenze errate sul genere sono rappresentate dalla famiglia, il gruppo dei pari, le istituzioni e i mass media. Questi nel tempo hanno creato dei veri e propri stereotipi di genere che ancora oggi attribuiscono all’uomo caratteristiche come la potenza, la dominanza, la sicurezza, l’aggressività e la mancata esternazione delle emozioni; mentre la donna viene percepita come debole, dipendente, sensibile, dedita al marito e ai figli. Coloro i quali non rispecchiano questi stereotipi vanno incontro a un pregiudizio che nel peggiore dei casi si conclude con una discriminazione. È per questo che con l’espressione “violenza di genere” si indicano tutte quelle forme di abuso che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso.
La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata ad Istanbul l’11 Maggio 2011, ha definito la violenza contro le donne come una grave violazione dei diritti umani.

Per chi ha vissuto una condizione di violenza non è semplice uscire da una realtà relazionale che in qualche modo ha assunto una sua forma di equilibrio, certo un equilibrio disfunzionale, doloroso, ma pur sempre un equilibrio “conosciuto”, “familiare”, e che in quanto tale dà l’illusione di poter essere “gestito”. Ma in questo presunto “equilibrio” molto spesso la vittima ha perso il senso della propria identità. Si trova invischiata in dinamiche relazionali dalle quali è difficile uscire. Per iniziare a pensare di uscirne bisogna quindi prima di tutto riconoscere la violenza, e riconoscere che è ingiusta, che non è frutto della propria debolezza, incapacità, o colpa. La violenza non è colpa della vittima; la violenza è sempre responsabilità di chi l’ha agita. Ma purtroppo la particolare dinamica che la violenza attiva nella psiche della vittima va a sostenere senso di colpa e di responsabilità della vittima, su cui sarà importante svolgere un approfondito lavoro psicologico, al fine di superare le convinzioni disadattive e disturbanti. Dopo aver riconosciuto la violenza, si può iniziare a parlarne. Ma spesso la vittima si trova spinta in condizioni di progressivo isolamento da chi le agiva violenza, privata di contatti sociali con cui poterne parlare. Oppure si scontra con stereotipi duri a morire (es. “la donna -angelo del focolare- deve fare di tutto per tenersi il marito e la famiglia”), stereotipi che rendono impossibile un ascolto vero e portano a volte amici e parenti a ostacolare (magari anche in buona fede) la possibilità della vittima di parlare, di uscire dalla violenza e di proteggersi.

Fatte queste considerazioni, porto l’approvazione del gruppo dei Verdi al rapporto di Gina La Mantia.